domenica 3 marzo 2013

Il veleno quotidiano



Gli italiani contemplano i loro televisori, transistor, automobili, motorette, aspirapolvere e se ne esaltano.   Per molti il miracolo è questo campionario di macchine e macchinette.   Ma ci sono anche il cibo, l'abitazione, la salute, la scuola su cui gli italiani non amano riflettere.   E fan bene, se no il loro benessere gli sembrerebbe meno grande e il loro miracolo meno glorioso.
Vediamo il cibo.   Oggi il modo di cibarsi dell'italiano è quello di uno appena uscito dalla povertà, ma con capricci da aristocratico; che abita in un Paese sovraffollato, massificato, ma pieno di pretese; dove non c'è abbastanza roba per far mangiare bene tutti, ma dove tutti vogliono le cose più rare nel tempo inadatto.   Cioè  un Paese che esige pranzi rapidi ma respinge i cibi in scatola; i ristoranti a buon prezzo ma con le primizie e le specialità; le squisitezze locali, ma prodotte su scala nazionale e internazionale.
E siamo, ogni domenica, alla baraonda autolesionista, io mangio nel tuo ristorante tu mangi nel mio,  ché tanto l'inganno è reciproco: milanesi in Val Trebbia per gustare la "coppa" fabbricata a Milano, mentre quella autentica della Val Trebbia viaggia verso i negozi di lusso ambrosiani;  il pesce che mangi a Rapallo congelato due anni fa in Danimarca e quello pescato nel Tigullio fresco fresco che corre nei camioncini verso Torino.   Insomma il gran guazzabuglio fatto per gli osti stanchi e villani, liberi ormai da ogni atteggiamento di bonomia, servilismo, rispetto.    Lui non ha tempo da perdere, se al signore piace così, bene, se no si accomodi alla porta c'è sempre la coda per avere un posto. [...]
L'italiano degli anni sessanta, mangia poco più che l'italiano degli anni sessanta di un secolo fa.   Con una composizione del pasto abbastanza simile, sempre un settanta per cento ai vegetali, un ventiquattro alle carni, un sei ai grassi.   Con qualche recente adattamento ai tempi: il consumo del pane che scende negli ultimi dieci anni dal 37 al 30 per cento del pasto mentre la verdura sale dal 9 all'11 e aumentano latte e formaggi.   Nei grassi l'olio e il burro che sostituiscono il lardo e lo strutto.
Il che non autorizza a parlare di una migliore qualità poiché è noto lo scempio della qualità fatto dalla produzione industriale: olii esterificati, burro adulterato, vino fatto con le carrube, amaretti contenenti aldeide benzoica, biscotti fatti con il sego estratto dal "quinto quarto" del bue, diciamo zoccolo, ossa, tendini. [...]
Comunque non si muore più di fame, nell'Italia degli anni sessanta c'è un piatto di pasta e un pane per chiunque.   Restano tuttavia le differenze inique: la borghesia agiata che ha fra i massimi problemi quello di mangiar poco, di non ingrassare e vasti strati dell'Italia contadina che assaggiano la carne una volta la settimana e ignorano praticamente lo zucchero.   Sicché, fatte le medie, siamo all'ultimo posto in Europa nel consumo dello zucchero e dei dolciumi: consumiamo un quarto dello zucchero consumato nel resto del MEC, un sesto dei dolciumi consumati in Svizzera, un terzo della Francia.
Dicevo un Paese sovraffollato dove tutti, in fatto di cibo, vogliono le cose più rare al tempo meno adatto: i pomodori fatti arrivare verdi dalle Canarie, in pieno inverno, e ingialliti con i fumi di zolfo; i peperoni, l'insalata, le ciliege sempre con un due o tre mesi di anticipo tanto per pagare cori degli alimenti insipidi; l'uva coltivata nelle serre olandesi, grossi acini bluastri pieni di acqua dolciastra.   E poi la democrazia raffinata, i consumi di massa con le scelte dei consumi di élite: del bue solo il filetto, del pollo solo la coscia, del tacchino solo il petto.   E le specialità false a cui nessuno rinuncia: prosciutto di San Daniele del Friuli fabbricato a Parma, Chianti fatto con vino pugliese, mozzarella di bufala pontina uscita dagli opifici di Lodi.   E ancora specialità esportate, prosciutti, formaggi grana spediti in ogni parte del mondo: se la qualità fosse di quella migliore e la domanda dovesse ancora aumentare una scheggia di reggiano varrebbe più che l'oro.
Ma c'è dell'altro: un alimentazione che vuole adattarsi ai tempi nuovi, ma con i tempi di una vecchia alimentazione: prima colazione leggera, quando sarebbe necessaria abbondante per gente che di solito lavora fra le otto del mattino e le due del pomeriggio; e pranzi serali pesanti, nemici dei sonni riparatori.   A Roma ormai le trattorie danno da mangiare fino ed oltre la mezzanotte e non ci si mette a tavola prima delle ventuno.
 
Giorgio Bocca
("La scoperta dell'Italia" - Editore Laterza, 1963)

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